La Corte di Cassazione, II sezione civile, con ordinanza n. 7029-2021 depositata il 12 marzo 2021 ha statuito che: 

“7.5. Il diritto del mediatore alla provvigione sorge, in definitiva, tutte le volte in cui la conclusione dell’affare sia in rapporto causale con l’attività intermediatrice, non occorrendo un nesso eziologico diretto ed esclusivo tra l’attività del mediatore e la conclusione dell’affare, poiché è sufficiente che il mediatore – pur in assenza di un suo intervento in tutte le fasi della trattativa ed anche in presenza di un processo di formazione della volontà delle parti complesso ed articolato nel tempo – abbia messo in relazione le stesse, così da realizzare l’antecedente indispensabile per pervenire alla conclusione del contratto, secondo i principi della causalità adeguata (Cass. n. 869 del 2018; conf. Cass. n. 25851 del 2014).
7.6. D’altra parte, ai fini della configurabilità del rapporto di mediazione, non è necessaria l’esistenza di un preventivo conferimento di incarico per la ricerca di un acquirente o di un venditore, ma è sufficiente che la parte abbia accettato l’attività del mediatore avvantaggiandosene (Cass. n. 11656 del 2018; Cass. n. 25851 del 2014). Il rapporto di mediazione, inteso come interposizione neutrale tra due o più persone per agevolare la conclusione di un determinato affare, non postula, infatti, necessariamente un preventivo accordo delle parti sulla persona del mediatore, ma è configurabile pure in relazione ad una materiale attività intermediatrice che i contraenti accettano anche soltanto tacitamente, utilizzandone i risultati ai fini della stipula del contratto: sicché, ove il rapporto di mediazione sia sorto per incarico di una delle parti, ma abbia avuto poi l’acquiescenza dell’altra, quest’ultima resta del pari vincolata verso il mediatore (Cass. n. 21737 del 2010).
7.7. L’accertamento dell’esistenza del rapporto di causalità tra la conclusione dell’affare e l’attività svolta dal mediatore si configura come una questione di fatto rimessa all’apprezzamento del giudice di merito (cfr. Cass. n. 15880 del 2010) e, come tale, sindacabile in sede di legittimità, a norma dell’art. 360 n. 5 c.p.c. solo quando la pronuncia impugnata abbia del tutto omesso di esaminare un fatto dedotto in giudizio e decisivo ai fini della soluzione della controversia: come, in effetti, è accaduto nel caso in esame.”

Per il mediatore, ai fini del riconoscimento del proprio compenso sarà unicamente necessario dimostrare che la conclusione dell’affare sia dipesa dalla propria attività mediatrice.

@ Avvocato Gabriele  Cevenini – Zola Predosa 16.3.2021