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Vaccino anti COVID-19 ai minorenni: in caso di disaccordo la decisione spetta al Giudice

IL CASO

Il padre di un minore di 15 anni negava il proprio consenso per la somministrazione del vaccino anti COVID-19 al figlio.

La madre, invece, chiedeva di poter sottoscrivere il consenso informato richiesto per la somministrazione del vaccino anche senza l’autorizzazione dell’ex. coniuge.

Il minore, ormai 15 enne, esprimeva la piena volontà di ricevere il vaccino sia per la salvaguardia della propria salute psicofisica sia per evitare gli effetti pregiudizievoli di una condotta di isolamento al fine quindi di non vedersi privata la propria vita relazionale.

Stante la divergenza di posizioni la madre presentava ricorso al Giudice al fine di ottenere l’autorizzazione per la somministrazione del vaccino anti Covid 19.

Il Tribunale ha autorizzato.

 

LA DECISIONE

Il Tribunale di Monza prima di entrare nel merito della decisione cita l’orientamento giurisprudenziale consolidato in tema di vaccinazioni (obbligatorie e non), nel senso di ritenere che ” laddove vi sia un concreto pericolo per la salute del minore, in relazione alla gravità e diffusione del virus e vi siano dati scientifici univoci che quel determinato trattamento sanitario risulta efficace, il giudice possa “sospendere” momentaneamente la capacità del genitore contrario al vaccino (Trib. Milano 17.10.18; C. Appello Napoli 30.08.17; Trib. Roma 16 febbraio 2017).

In altri termini il Giudice deve valutare l’esistenza di un grave pregiudizio per salute e della diffusione sul territorio nazionale. Circostanze che ricorrono nel caso di COVID-19, per il quale, prosegue  il Giudice “è una patologia che notoriamente in un numero rilevante di casi ha avuto conseguenze gravi e/o mortali con un’amplissima diffusione non solo sul territorio nazionale, ma mondiale, con effetti gravissimi sui sistemi sanitari di molti paesi. L’ampia copertura vaccinale consente poi di rallentare e controllare la trasmissione della malattia con effetti benefici per tutta la collettività. Al contrario, l’assenza di copertura vaccinale, soprattutto in presenza di varianti sempre più contagiose, comporta, da un lato, un maggior rischio per i singoli, ivi compresi i minori, di contrarre la malattia e, dall’altro, ripercussioni negative sulla vita sociale e lavorativa delle persone e, per quanto riguarda i minori, sul loro percorso educativo, limitando la possibilità di accesso alle strutture formative”.

Il Giudice poi ai fini della risoluzione del conflitto deve considerare, ex. art. 3 Legge 219/17, la volontà del minore. Nel Caso di specie, il Minore, di anni 15 e 6 mesi, ha espresso con chiarezza l’intenzione di sottoporsi al vaccino per poter tornare ad una vita normale sia sul piano scolastico che relazionale.

Per questi motivi il Giudice tenendo conto della volontà espressa dal minore e per la salvaguardia della salute psicofisica del minore stesso ha autorizzato la somministrazione del vaccino. 

Trib. Monza, sez. IV Civile, decr., 22 luglio 2021

Avvocato Gabriele Cevenini Zola Predosa


RCA e diritto di rivalsa per guida in stato di ebbrezza

IL CASO

 

Un autoarticolato tamponava l’autovettura Fiat Punto condotta dal Sig. XV. Nella Fiat Punto era altresì presente il Sig. YY, terzo trasportato, che a seguito dell’impatto era stato sbalzato dal veicolo e successivamente deceduto. La Compagnia assicurativa risarciva gli eredi del YX e successivamente promuoveva causa nei confronti dell’XV  eccependo la guida in stato di ebrezza e quindi l’operatività della clausola di esclusione dell’assicurazione (e di esercizio della rivalsa perr le somme pagate dal terzo). Si costituiva il convenuto (proprietario e conducente della Fiat Punto XV)  chiedendo il rigetto della domanda attorea.
Nel corso del giudizio veniva prodotta documentazione attestante che il tasso alcolemico dell’XV rilevato al momento del sinistro fosse di 0,28g\l, inferiore, quindi,  ai valori prescritti dall’articolo 186 del codice della strada (0,5-08 g\l; 0,8-1,5 g\l; >1,5 \l). La difesa del Sig. XV eccepiva quindi che non poteva parlarsi di guida in stato di ebrezza poiché l’ebrezza a livello normativo risulta essere definita dall’articolo 186 CDS con un valore quindi superiore allo 0,5 g\l e quindi che l’assicurazione non era legittimava a chiedere la restituzione di quanto versato agli eredi YX in rivalsa nei confronti di XV.
L’assicurazione eccepiva che per guida in stato di ebrezza non si dovesse fare riferimento a quanto previsto dall’articolo 186 CDS essendo sufficiente il solo ritrovamento di alcool nel sangue a prescindere dalla quantità.
 
Il tribunale di Bologna accoglie la difesa di XV. La Corte d’Appello di Bologna conferma e la Suprema Corte di Cassazione enuncia il seguente principio:

 

 

LA MASSIMA DELLA SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

<<se il contratto di assicurazione obbligatoria per i veicoli a motore attribuisce all’impresa di assicurazione il diritto di rivalsa verso l’assicurato per l’ipotesi di guida in stato di ebbrezza, senza specificazioni convenzionali di quest’ultimo stato, esso va identificato con la stato di ebbrezza previsto dal Codice della Strada>> Cassazione civile sez. III, 13/05/2021, (ud. 10/02/2021, dep. 13/05/2021), n.12900

 

IN DIRITTO

l’articolo 1882 del codice civile italiano definisce il contratto di assicurazione come ” il contratto  col quale l’assicuratore, verso il pagamento di un premo, si obbliga a rivalere l’assicurato, entro i limiti convenuti, del danno ad esso prodotto da un sinistro, ovvero a pagare un capitale o una rendita al verificarsi di un evento attinente alla vita umana”.

Suddetta disposizione è da coordinarsi poi con il primo comma dell’articolo 144 del Codice delle Assicurazioni private il quale prevede che ” Il danneggiato per sinistro causato dalla circolazione di un veicolo o di un natante, per i quali vi è obbligo di assicurazione, ha azione diretta per il risarcimento del danno nei confronti dell’impresa di assicurazione del responsabile civile, entro i limiti delle somme per le quali è stata stipulata l’assicurazione.” .

Proprio nel secondo comma del riferimento normativo sopracitato ovvero l’articolo 144, II comma, Codice delle Assicurazioni è introdotto il diritto alla rivalsa della compagnia assicurativa. In forza del quale “per l’intero massimale di polizza l’impresa di assicurazione non può opporre al danneggiato eccezioni derivanti dal contratto, né clausole che prevedano l’eventuale contributo dell’assicurato al risarcimento del danno. L’impresa di assicurazione ha tuttavia diritto di rivalsa verso l’assicurato nella misura in cui avrebbe avuto contrattualmente diritto di rifiutare o ridurre la propria prestazione.”

In altre parole con il diritto di rivalsa la compagnia assicurativa può richiedere al contraente (proprio assicurato) “la restituzione degli importati risarciti a controparte”. I casi più frequenti di rivalsa sono

  • guida in stato di ebbrezza;
  • assunzione di sostanze stupefacenti;
  • revisione dell’auto e/o patente scaduta;

IN CONCLUSIONE

Leggete molto attentamente le condizioni generali di assicurazione prima di sottoscrivere il contratto. Se alcuni aspetti non vi sono chiari chiedete al Vostro assicuratore di fiducia e\o al Vostro Legale. E’ possibile tutelarsi dalla “rivalsa dell’assicurazione” sottoscrivendo una garanzia accessoria di “rinuncia alla rivalsa dell’assicurazione” (totale o parziale).

Per quanto attiene invece la guida in stato di ebrezza, nel tempo in cui si scrive, l’articolo 186 del codice della strada prevede che:

1. E’ vietato guidare in stato di ebbrezza in conseguenza dell’uso di bevande alcoliche.

2. Chiunque guida in stato di ebbrezza e’ punito, ove il fatto non costituisca piu’ grave reato:

a) con la sanzione amministrativa del pagamento di una somma ((da € 543 a € 2.170)), qualora sia stato accertato un valore corrispondente ad un tasso alcolemico superiore a 0,5 e non superiore a 0,8 grammi per litro (g/l). All’accertamento della violazione consegue la sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida da tre a sei mesi;

b) con l’ammenda da euro 800 a euro 3.200 e l’arresto fino a sei mesi, qualora sia stato accertato un valore corrispondente ad un tasso alcolemico superiore a 0,8 e non superiore a 1,5 grammi per litro (g/l). All’accertamento del reato consegue in ogni caso la sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida da sei mesi ad un anno;

c) con l’ammenda da euro 1.500 a euro 6.000, l’arresto da sei mesi ad un anno, qualora sia stato accertato un valore corrispondente ad un tasso alcolemico superiore a 1,5 grammi per litro (g/l). All’accertamento del reato consegue in ogni caso la sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida da uno a due anni. Se il veicolo appartiene a persona estranea al reato, la durata della sospensione della patente di guida e’ raddoppiata. La patente di guida e’ sempre revocata, ai sensi del capo II, sezione II, del titolo VI, in caso di recidiva nel biennio. Con la sentenza di condanna ovvero di applicazione della pena su richiesta delle parti, anche se e’ stata applicata la sospensione condizionale della pena, e’ sempre disposta la confisca del veicolo con il quale e’ stato commesso il reato, salvo che il veicolo stesso appartenga a persona estranea al reato. Ai fini del sequestro si applicano le disposizioni di cui all’articolo 224-ter. 

2-bis. Se il conducente in stato di ebbrezza provoca un incidente stradale, le sanzioni di cui al comma 2 del presente articolo e al comma 3 dell’articolo 186-bis sono raddoppiate ed e’ disposto il fermo amministrativo del veicolo per centottanta giorni, salvo che il veicolo appartenga a persona estranea all’illecito. Qualora per il conducente che provochi un incidente stradale sia stato accertato un valore corrispondente ad un tasso alcolemico superiore a 1,5 grammi per litro (g/1), fatto salvo quanto previsto dal quinto e sesto periodo della lettera c) del comma 2 del presente articolo, la patente di guida e’ sempre revocata ai sensi del capo II, sezione II, del titolo VI. E’ fatta salva in ogni caso l’applicazione dell’articolo 222.

2-ter. Competente a giudicare dei reati di cui al presente articolo e’ il tribunale in composizione monocratica.

2-quater. Le disposizioni relative alle sanzioni accessorie di cui ai commi 2 e 2-bis si applicano anche in caso di applicazione della pena su richiesta delle parti.

2-quinquies. Salvo che non sia disposto il sequestro ai sensi del comma 2, il veicolo, qualora non possa essere guidato da altra persona idonea, puo’ essere fatto trasportare fino al luogo indicato dall’interessato o fino alla piu’ vicina autorimessa e lasciato in consegna al proprietario o al gestore di essa con le normali garanzie per la custodia. Le spese per il recupero ed il trasporto sono interamente a carico del trasgressore.

2-sexies. L’ammenda prevista dal comma 2 e’ aumentata da un terzo alla meta’ quando il reato e’ commesso dopo le ore 22 e prima delle ore 7.

2-septies. Le circostanze attenuanti concorrenti con l’aggravante di cui al comma 2-sexies non possono essere ritenute equivalenti o prevalenti rispetto a questa. Le diminuzioni di pena si operano sulla quantita’ della stessa risultante dall’aumento conseguente alla predetta aggravante.

2-octies. Una quota pari al venti per cento dell’ammenda irrogata con la sentenza di condanna che ha ritenuto sussistente l’aggravante di cui al comma 2-sexies e’ destinata ad alimentare il Fondo contro l’incidentalita’ notturna di cui all’articolo 6-bis del decreto-legge 3 agosto 2007, n. 117, convertito, con modificazioni, dalla legge 2 ottobre 2007, n. 160, e successive modificazioni.

3. Al fine di acquisire elementi utili per motivare l’obbligo di sottoposizione agli accertamenti di cui al comma 4, gli organi di Polizia stradale di cui all’articolo 12, commi 1 e 2, secondo le direttive fornite dal Ministero dell’interno, nel rispetto della riservatezza personale e senza pregiudizio per l’integrita’ fisica, possono sottoporre i conducenti ad accertamenti qualitativi non invasivi o a prove, anche attraverso apparecchi portatili.

4. Quando gli accertamenti qualitativi di cui al comma 3 hanno dato esito positivo, in ogni caso d’incidente ovvero quando si abbia altrimenti motivo di ritenere che il conducente del veicolo si trovi in stato di alterazione psicofisica derivante dall’influenza dell’alcool, gli organi di Polizia stradale di cui all’articolo 12, commi 1 e 2, anche accompagnandolo presso il piu’ vicino ufficio o comando, hanno la facolta’ di effettuare l’accertamento con strumenti e procedure determinati dal regolamento.

5. Per i conducenti coinvolti in incidenti stradali e sottoposti alle cure mediche, l’accertamento del tasso alcoolemico viene effettuato, su richiesta degli organi di Polizia stradale di cui all’articolo 12, commi 1 e 2, da parte delle strutture sanitarie di base o di quelle accreditate o comunque a tali fini equiparate. Le strutture sanitarie rilasciano agli organi di Polizia stradale la relativa certificazione, estesa alla prognosi delle lesioni accertate, assicurando il rispetto della riservatezza dei dati in base alle vigenti disposizioni di legge. Copia della certificazione di cui al periodo precedente deve essere tempestivamente trasmessa, a cura dell’organo di polizia che ha proceduto agli accertamenti, al prefetto del luogo della commessa violazione per gli eventuali provvedimenti di competenza. Si applicano le disposizioni del comma 5-bis dell’articolo 187.

6. Qualora dall’accertamento di cui ai commi 4 o 5 risulti un valore corrispondente ad un tasso alcoolemico superiore a 0,5 grammi per litro (g/l), l’interessato e’ considerato in stato di ebbrezza ai fini dell’applicazione delle sanzioni di cui al comma 2.

7. Salvo che il fatto costituisca piu’ grave reato, in caso di rifiuto dell’accertamento di cui ai commi 3, 4 o 5, il conducente e’ punito con le pene di cui al comma 2, lettera c). La condanna per il reato di cui al periodo che precede comporta la sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida per un periodo da sei mesi a due anni e della confisca del veicolo con le stesse modalita’ e procedure previste dal comma 2, lettera c), salvo che il veicolo appartenga a persona estranea alla violazione. Con l’ordinanza con la quale e’ disposta la sospensione della patente, il prefetto ordina che il conducente si sottoponga a visita medica secondo le disposizioni del comma 8. Se il fatto e’ commesso da soggetto gia’ condannato nei due anni precedenti per il medesimo reato, e’ sempre disposta la sanzione amministrativa accessoria della revoca della patente di guida ai sensi del capo I, sezione II, del titolo VI.

8. Con l’ordinanza con la quale viene disposta la sospensione della patente ai sensi dei commi 2 e 2-bis, il prefetto ordina che il conducente si sottoponga a visita medica ai sensi dell’articolo 119, comma 4, che deve avvenire nel termine di sessanta giorni. Qualora il conducente non vi si sottoponga entro il termine fissato, il prefetto puo’ disporre, in via cautelare, la sospensione della patente di guida fino all’esito della visita medica.

9. Qualora dall’accertamento di cui ai commi 4 e 5 risulti un valore corrispondente ad un tasso alcolemico superiore a 1,5 grammi per litro, ferma restando l’applicazione delle sanzioni di cui ai commi 2 e 2-bis, il prefetto, in via cautelare, dispone la sospensione della patente fino all’esito della visita medica di cui al comma 8.

9-bis. Al di fuori dei casi previsti dal comma 2-bis del presente articolo, la pena detentiva e pecuniaria puo’ essere sostituita, anche con il decreto penale di condanna, se non vi e’ opposizione da parte dell’imputato, con quella del lavoro di pubblica utilita’ di cui all’articolo 54 del decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274, secondo le modalita’ ivi previste e consistente nella prestazione di un’attivita’ non retribuita a favore della collettivita’ da svolgere, in via prioritaria, nel campo della sicurezza e dell’educazione stradale presso lo Stato, le regioni, le province, i comuni o presso enti o organizzazioni di assistenza sociale e di volontariato, o presso i centri specializzati di lotta alle dipendenze. Con il decreto penale o con la sentenza il giudice incarica l’ufficio locale di esecuzione penale ovvero gli organi di cui all’articolo 59 del decreto legislativo n. 274 del 2000 di verificare l’effettivo svolgimento del lavoro di pubblica utilita’. In deroga a quanto previsto dall’articolo 54 del decreto legislativo n. 274 del 2000, il lavoro di pubblica utilita’ ha una durata corrispondente a quella della sanzione detentiva irrogata e della conversione della pena pecuniaria ragguagliando 250 euro ad un giorno di lavoro di pubblica utilita’. In caso di svolgimento positivo del lavoro di pubblica utilita’, il giudice fissa una nuova udienza e dichiara estinto il reato, dispone la riduzione alla meta’ della sanzione della sospensione della patente e revoca la confisca del veicolo sequestrato. La decisione e’ ricorribile in cassazione. Il ricorso non sospende l’esecuzione a meno che il giudice che ha emesso la decisione disponga diversamente. In caso di violazione degli obblighi connessi allo svolgimento del lavoro di pubblica utilita’, il giudice che procede o il giudice dell’esecuzione, a richiesta del pubblico ministero o di ufficio, con le formalita’ di cui all’articolo 666 del codice di procedura penale, tenuto conto dei motivi, della entita’ e delle circostanze della violazione, dispone la revoca della pena sostitutiva con ripristino di quella sostituita e della sanzione amministrativa della sospensione della patente e della confisca. Il lavoro di pubblica utilita’ puo’ sostituire la pena per non piu’ di una volta.

 

12 agosto 2021 Zola Predosa Avvocato Gabriele Cevenini


Superbonus: i volumi degli edifici pluriunità

In presenza di un edificio formato da più volumi, per calcolare la superficie disperdente minima (del 25%), sempre in ambito di super bonus 110%, è necessario considerare l’interessa dell’edificio. Conseguentemente,  nel caso di pluri-unità anche l’APE (certificazione energetica, che serve a dimostrare il miglioramento delle 2 classe energetiche), deve essere realizzato per l’intero complesso non per la singola unità immobiliare. 


Zola Predosa, Avvocato Gabriele Cevenini 7.9.2021

 


Sulla responsabilità dell’appaltatore che deve eseguire il progetto: L’appaltatore non è nudus minister

Il 22 giugno 2021 la Suprema Corte di Cassazione ha chiarito con la pronuncia n. 17819/2021 che l’Appaltatore è tenuto a controllare, nei limiti delle sue competenze, la bontà del progetto fornito dal committente. Nel caso poi  che, a fronte del progetto evidentemente errato, non abbia espresso un formale dissenso sarà tenuto a rispondere a titolo di responsabilità contrattuale per i vizi dell’opera (senza poter invocare il concorso di colpa del progettista o del committente. Di seguito la massima:

Cassazione civile , sez. II , 22/06/2021 , n. 17819

L’appaltatore, dovendo assolvere al proprio obbligo di osservare i criteri generali della tecnica relativi al particolare lavoro affidatogli, è tenuto a controllare, nei limiti delle sue cognizioni, la bontà del progetto o delle istruzioni impartite dal committente e, ove queste siano palesemente errate, può andare esente da responsabilità soltanto se dimostri di avere manifestato il proprio dissenso e di essere stato indotto – va sottolineato – ad eseguirle, quale nudus minister , per le insistenze del committente ed a rischio di quest’ultimo. Pertanto, in mancanza di tale prova, l’appaltatore è tenuto, a titolo di responsabilità contrattuale, derivante dalla sua obbligazione di risultato, all’intera garanzia per le imperfezioni o i vizi dell’opera, senza poter invocare il concorso di colpa del progettista o del committente, né l’efficacia esimente di eventuali errori nelle istruzioni impartite dal direttore dei lavori.

Zola Predosa – 26 giugno 2021 Avvocato Gabriele Cevenini


Rapina: Pistola alla tempia rivolta alla dipendente delle Poste. Risarcita di 64.000 euro.

La Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, con la pronuncia n. 16378/21 depositata il 10 giugno ha confermato la sentenza della Corte d’Appello di Ancona che aveva riconosciuto un risarcimento, per infortunio sul lavoro, di euro 64.000 alla dipendente di Poste Italiane alla quale era stata rivolta una pistola alla tempia.

Interessante risulta essere la motivazione in diritto, in particolare:

<<Poste Italiane, con riferimento all’infortunio subito dalla dipendente M. – la quale nel corso di una rapina avvenuta all’interno dell’ufficio postale presso il quale prestava servizio era stata minacciata da un rapinatore che le aveva puntato la pistola alla nuca – non avesse adottato tutti le misure idonee a garantire la sicurezza dei lavoratori presenti nell’ufficio; in particolare, ha considerato che l’ubicazione dell’ufficio postale, posto sotto i portici di un condominio, in una zona periferica della città e quindi non visibile dalla strada, la possibilità di ingresso libero a chicchessia nei locali dell’ufficio, senza filtro di sicurezza, rendeva altamente probabile il verificarsi di rapine, peraltro all’epoca frequenti; le misure adottate, quali vetri antisfondamento, sensori di allarme, telecamere per la visione degli accessi collegate a videoregistratori, dispensatori di denaro a tempo e pulsanti di allarme anti rapina erano per lo più idonee a tutelare il patrimonio della società ma non anche funzionali a garantire la sicurezza dei dipendenti>>

Avvocato Gabriele Cevenini – Zola Predosa – 13.06.2021 – Diritto del lavoro – Risarcimento danni


Doveri di informazione del Medico e profili risarcitori

La Suprema Corte di Cassazione con una recente pronuncia, la n. 12593 del 12 maggio 2021, è stata chiamata a pronunciarsi sul dovere di informazione dei medici ed ha delineato, a livello giusriprduenziale, i profili risarcitori.

In particolare:

<<La violazione, da parte del medico, del dovere di informare il paziente, può causare due diversi tipi di danni: un danno alla salute, sussistente quando sia ragionevole ritenere che il paziente, su cui grava il relativo onere probatorio, se correttamente informato, avrebbe evitato di sottoporsi all’intervento e di subirne le conseguenze invalidanti, nonché un danno da lesione dell’autodeterminazione in se stesso, il quale sussiste quando, a causa del deficit informativo, il paziente abbia subito un pregiudizio, patrimoniale o non patrimoniale, diverso dalla lesione del diritto alla salute. Con specifico riferimento all’ipotesi di intervento eseguito correttamente, dal quale siano tuttavia derivate conseguenze dannose per la salute, ove tale intervento non sia stato preceduto da un’adeguata informazione del paziente circa i possibili effetti pregiudizievoli, il medico può essere chiamato a risarcire il danno alla salute solo se il paziente dimostri, anche tramite presunzioni, che, se compiutamente informato, avrebbe verosimilmente rifiutato l’intervento>>Cass. civ. Sez. III Ord., 12/05/2021, n. 12593

 

In altre parole, il paziente ai fini dell’ottenimento del danno deve dimostrare che, se correttamente informato, avrebbe scelto di non sottoporsi all’intervento è chiaramente postulata anche da Cass. n. 7248/2018 (a pag. 7) quale necessario presupposto per il risarcimento del danno alla salute (e ciò indipendentemente dal fatto che la condotta medica sia stata colposa o non colposa);

 

 
 
Avvocato Gabriele Cevenini – Zola Predosa – Bologna – 16 maggio 2021

Diritto dei creditori del defunto di soddisfarsi sul prezzo ricavato dalla vendita del bene ereditario

<<In caso di accettazione dell’eredità con beneficio d’inventario, la vendita di un bene ereditario e il reinvestimento del denaro così ricavato non rendono il bene stesso impignorabile da parte dei creditori del de cuius, i quali potranno, pertanto, sottoporlo a esecuzione e rivalersi sul ricavato, nei limiti del valore del bene, ove l’erede, proponendo la relativa eccezione, faccia valere il beneficio>>. Cass. civ. Sez. III Sentenza, 26/07/2012, n. 13206

IL CASO

Con ricorso del 10 marzo 2005 B.F., quale legale rappresentante della figlia minore P.E.M., propose opposizione all’esecuzione immobiliare promossa dal Comune di … nei confronti suoi e della minore. Dedusse l’opponente che la quota del bene staggito appartenente alla figlia, pari al 50% di un appartamento sito in (OMISSIS), non era pignorabile, in quanto bene personale della minore medesima, erede beneficiata ex lege del padre premorto, laddove il titolo azionato riguardava un credito dell’esecutante nei confronti del de cuius.
Sulla base di tali premesse, chiese l’opponente che, accertata l’impignorabilità del bene, il pignoramento venisse dichiarato nullo.
Costituitosi in giudizio, il Comune di … eccepì che, pur rispondendo al vero che la quota di immobile pignorata non era bene ereditario proveniente dal padre, si trattava tuttavia di bene acquistato dalla madre, in nome e per conto della figlia, con denaro in buona parte proveniente dalla vendita di un immobile sicuramente facente parte dell’asse ereditario paterno. Con sentenza del 28 luglio 2006 il giudice adito ha respinto l’opposizione.
Ha osservato il decidente che la somma precettata dall’Ente era di Euro 23.661,79; che dell’asse ereditario faceva parte un cespite la cui vendita, autorizzata dall’autorità giudiziaria, aveva assicurato alla minore, quale parte di sua spettanza, l’importo di Euro 77.470,00; che la somma era stata reimpiegata dalla madre per l’acquisto della quota immobiliare pignorata. In tale contesto ha affermato il Tribunale che il bene della minore, nel quale era stato trasformato quello ereditario, ben potesse essere espropriato dal creditore del de cuius.
Diversamente opinando, invero, la regola della responsabilità intra vires sarebbe stata facilmente elusa, sufficiente essendo, a tal fine, la liquidazione dell’attivo ereditario e l’acquisto, con il ricavato, di altri beni
che, in quanto personali dell’erede, non sarebbero più aggredibili dal creditori ereditari.
Per la cassazione dei detta pronuncia ricorre a questa Corte B. F., formulando tre motivi, illustrati anche da memoria. Resiste con controricorso il Comune di Porcia.

1. Motivo: Con il primo motivo la ricorrente denuncia violazione degli artt. 490, 495 e 507 c.p.c.. Sostiene che la sentenza impugnata avrebbe fatto malgoverno del principio per cui l’erede beneficiato risponde dei debitie dei legati intra vires hereditatis e cum viribus hereditatis, e cioè con i beni dell’asse ereditario, di talchè i beni personali dell’erede che abbia accettato con beneficio d’inventario non sarebbero suscettibili di esecuzione forzata da parte dei creditori ereditari.

2. Motivo: Con il secondo mezzo lamenta violazione degli artt. 490 e 832 c.c., nonchè mancanza e contraddittorietà della motivazione.

3. Motivo: Con il terzo motivo l’impugnante torna a denunciare violazione degli artt. 490 e 832 c.c., nonchè vizi motivazionali. Il giudice di merito non avrebbe per vero considerato che pacificamente l’immobile sottoposto ad esecuzione era stato acquistato anche con denaro proveniente da un contratto di mutuo stipulato dalla madre nell’interesse della minore. Conseguentemente esso era, almeno in parte, un bene personale dell’erede, bene sottoposto, malgrado ciò, per intero a esecuzione

 

LA DECISIONE DELLA SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

La Corte rigetta il ricorso. Compensa integralmente tra le parti le spese del giudizio.

LE CONSIDERAZIONI GIURIDICHE CHE RILEVANO

Occorre muovere dalla considerazione che la dichiarazione di accettazione con beneficio di inventario – mediante la quale si realizza la separazione del patrimonio del defunto e la restrizione della responsabilità dell’erede intra vires hereditatis – è pur sempre dichiarazione di volere accettare l’eredità, sicchè l’erede beneficiato acquista i diritti caduti nella successione e diventa soggetto passivo delle relative obbligazioni.
Come tale, a differenza del chiamato che non abbia ancora accettato, il quale a norma dell’art. 486 c.c., sta in giudizio in rappresentanza dell’eredità, l’erede beneficiato è legittimato in proprio a resistere e a contraddire, tant’è che l’eventuale pronuncia di condanna al pagamento dell’intero debito ereditario va emessa nei suoi confronti, salvo che, in concreto, la responsabilità andrà contenuta intra vires hereditatis nel caso in cui egli abbia fatto valere il beneficio, proponendo la relativa eccezione (Cass. civ. 19 marzo 2007, n. 6488; Cass. civ. 14 marzo 2003, n. 3791).
3. Posto dunque che l’erede beneficiato è, comunque, erede e che, come tale, succede anche nei debiti, l’affermazione secondo cui la disposizione dell’art. 490 c.c., comma 2, n. 2, ne limita la responsabilità per il pagamento dei debiti ereditari e dei legati intra vires e cum viribus, va posta in relazione alle cautele che nel sistema circondano l’aggressione dei beni propri dell’erede beneficiato, atteso che, a norma dell’art. 497 c.c., questi non può essere costretto al pagamento con i propri beni, se non quando è stato costituito in mora a presentare il conto e non ha ancora soddisfatto a quest’obbligo (comma 1) ovvero, dopo la liquidazione del conto, fino alla concorrenza delle somme di cui sia debitore (comma 2).
In tale contesto è stato quindi da questa Corte affermato che (il beneficio d’inventario limita, normalmente, la responsabilità dell’erede non solo al valore, ma anche ai beni allo stesso pervenuti, assoggettando, in via di principio, questi e non quelli personali all’esecuzione forzata (confr. Cass. civ. 29 aprile 1993, n. 5067). Il che tuttavia non vuoi dire che la vendita di un bene ereditario e il reinvestimento del denaro ricavato, rispettati gli oneri procedurali imposti dall’art. 747 c.p.c. e segg., valga a purgare definitivamente l’acquisto. E’ sufficiente al riguardo considerare che il nodo della disciplina che limita la responsabilità dell’erede beneficiato è pur sempre il valore dei beni (art. 490 c.c., comma 2, n. 2, e proprio al fine di evitarne la dispersione il legislatore ha previsto non solo che gli atti dispositivi degli stessi debbano essere autorizzati, pena la decadenza dal beneficio d’inventario, dal tribunale, ma ha altresì stabilito che il giudice, quando occorre, fissi le modalità per la conservazione e il reimpiego del prezzo ricavato (art. 748
c.p.c., comma 2). A ben vedere, infatti, in relazione all’eredità accettata con beneficio d’inventario, la trasparente ratio di tale norma è proprio quella di bloccare il valore del bene in modo che, se non cum viribus, i creditori
possano comunque soddisfarsi intra vires.

DAL PUNTO DI VISTA PRATICO COSA OCCORE SAPERE

L’istituto dell’accettazione dell’eredità con beneficio di inventario permette all’erede di rispondere dei debiti ereditari nel limite del valore e beni ricevuti in eredità e non quindi con quelli personali (non si verifica insomma la cd. commistione tra i due patrimoni). Tuttavia, come è successione nel caso in esame, ovvero che il bene ereditario è stato venduto e con il ricavato è stato poi comprato un nuovo immobile intestandolo all’erede, con l’evidente intento di distrarre il credo ai debitori ereditari, l’operazione è da considerarsi illegittima.

Per questi motivi è sempre importante rivolgersi al proprio legale prima dell’evento nefasto in un’ottica anche di pianificazione successoria. 

<<Vigilantibus non dormientibus>>

Avvocato Gabriele Cevenini – Zola Predosa – 16.4.2021


Criptovalute: conferimento di criptovaluta in aumento al capitale sociale di una SRL

L’articolo 2464 del codice civile , in tema di conferimenti in società a responsabilità limitata, al secondo comma stabilisce che “Possono essere conferiti tutti gli elementi dell’attivo suscettibili di valutazione economica”.

Ai sensi poi dell’articolo 2263, comma 1, c.c. , è prevista la conferibilità di ogni entità utile alla quale si possa attribuire un valore patrimoniale attendibile.

Il Tribunale di Brescia, con la sentenza n. 7556 del 25.07.2018, ha rigettato il ricorso di una SRL che, dopo aver ricevuto il rifiuto del Notaio di provvedere all’iscrizione nel registro delle imprese della delibera societaria di aumento del capitale sociale, aveva tentato la via giudiziaria chiedendo che provvedesse in tal senso il Tribunale. Motivo del rigetto è rappresentato dalla circostanza che, nel caso di specie, la criptovaluta oggetto di conferimento non era suscettibile di un valore economico attendibile in un’ottica anche di tutela dei creditori sociali.

Infatti, come noto, il capitale sociale oltre ad avere una funzione vincolistica rappresenta anche una garanzia per i creditori sociali, e tale carattere risulta essere più marcato nelle società di capitali, in quanto persone giuridiche, rispondono esclusivamente con il loro patrimonio delle obbligazioni assunte.

Non vi sono state più altre pronunce in merito, tuttavia, lo scrivente ritiene quanto segue.

 

 

Requisiti della criptovaluta per la costituzione della SRL o dell'aumento del capitale sociale della stessa

1) La criptovaluta deve essere susscettibile di un valore economico attendibile e non voluttuario.

2) Nella perizia di stima occorre specificare le modalità di esecuzione di un ipotetico pignoramento della criptovaluta.

3) L‘idoneità del Token a essere “bersaglio” dell’aggressione da parte dei creditori sociali, conseguentemente, definire le modalità di custodia dei token.

Sul punto 1, precisiamo che per soddisfare tale requisito è sarebbe bene avvalersi dei cd. stablecoin ovvero criptovalute che hanno un prezzo stabile perchè vincolato a un mezzo di scambio (il cd. ancoraggio) . Esempi di Stable coin sono il Tether, nato nel 2015, è lo stablecoin ad oggi più diffuso. L’autorità centrale di gestione è Tether Limited. Secondo quanto riportato da The Financial Times nel 2017. True USD, nato nel 2018, è il secondo stablecoin più negoziato al mondo. Utilizza un token erc20 che può essere conservato in qualsiasi wallet che lo supporti e utilizza degli smart contract che certificano, da parte di autorità terze, la parità tra riserve e token emessi.

Sui punti 2 e 3, non vi è (ancora) Giurisprudenza e la dottrina si scontra. Qual’è la tutela dei creditori sociali in caso di fallimento della SRL o anche solo in caso di un ipotetico pignoramento quali siano le modalità e le garanzie per i creditori. A parere di chi scrive, sulla base anche della sentenza sopra citata, è opportuno che ne venga dato atto all’interno della perizia di stima, individuando la moneta virtuale in uno stablecoin e facendola custodire in un wallet (fisico) dal Notaio. A queste condizioni si ritiene l’operazione configurabile.

Avvocato Gabriele Cevenini , Zola Predosa,   30.03.2021